mercoledì 8 gennaio 2014

Van Cuv e l'arte come denuncia sociale

“Sono nato a Savona il 10 luglio 1975 e quello che ho da dirvi ce l'ho scritto in faccia”
Van Cuv

Ivan Cuvato, in arte Van Cuv junior, nasce a Savona il 10 luglio 1975. Figlio d'arte, ha la fortuna di crescere immerso nello stimolante ambiente artistico di Albisola, terra ligure della ceramica, paese che ha visto, fra gli altri, personaggi noti come Picasso e Pietro Manzoni, Lucio Fontana e Aligi Sassu, e figure forse meno note al grande pubblico ma non meno importanti, come Antonio Sabatelli, uno dei pochi artisti di cui Ivan vi parlerà con vero trasporto.
Personaggio eclettico e stravagante, intimamente legato alla cultura hyppie degli anni '70, Ivan vive oggi a Milano. Lo si vede andare in giro con i suoi cani - le veterane Baby e Hero's e un maschio aggiuntosi da poco al gruppo -, tatuaggi sul braccio, pantaloni tibetani e parola facile: in una Milano atomizzata e silente, è bello incontrare una persona che ancora preferisce il contatto diretto con chi gli sta intorno nel qui e ora, piuttosto che celarsi in un rifugio prefabbricato fatto di telefonia e internet. Non vi sarà difficile parlare con lui, ascoltarlo mentre vi racconta della sua vita, della sua arte; si scalderà con facilità se contraddirete le fondamenta dei suoi ideali, ma troverete, dietro un temperamento a sbalzi, un anima sensibile e piacevolmente infantile.
Artista puro, dedito al suo lavoro, mantiene una forte integrità morale; contrario alla “prostituzione” artistica, preferisce svolgere i lavori più umili per mantenersi e coltivare il suo sogno piuttosto che svendere se stesso e la sua mente al mercato dei consumi.

Pittore, scrittore, installatore, volgeremo qui la nostra attenzione a una serie di opere – installazioni e applicazioni miste a pittura e testi scritti – dedicate a tematiche sociali, che ho avuto il piacere di vedere nel corso di una personale che ha organizzato il 5 ottobre 2013 presso il nuovo spazio da lui stesso gestito – spazio che sarà dedicato, nei suoi intenti, alla presentazione di esposizioni collettive e personali di artisti contemporanei, sia noti che underground.

Per la realizzazione dei suoi lavori, usa oggetti trovati, talora gettati via e salvati dalla strada, talaltra capitati sul suo cammino nei modi più disparati nel momento in cui ne aveva bisogno per un'opera. Riprende oggetti rimasti inutilizzati e dona loro nuova vita, nuovo significato, riscattandoli dal loro ruolo di puro oggetto di consumo privo d'identità, destinato all'oblio: anche questo tratto delle sue opere potremmo definirlo “sociale”.

Lascio la parola alle immagini che meglio rappresentano questa serie di lavori e alle poche parole che ha voluto aggiungere egli stesso ai suoi lavori.


“Di nuovo... un altro centro commerciale”, mattoni insanguinati realizzato in ceramica.


"Perduti antichi eroi"


"La vita non è un'infamità ma una realtà divina"



"Torri gemelle"



 "Spacciatori dell'ultima droga rimasta legale"

Il "Muro del pianto" è un'opera composta da 24 tele quadrate, tutte di dimensione 40x40 cm. che trattano avvenimenti di una volta e avvenimenti di oggi. "Se dovessi commentarlo tutto, sarebbe troppo lungo". Alcuni dei lavori presentati sopra fanno parte di questa grande opera.



“Il mercato artistico è l'uccisione dell'arte, mentre il discorso artistico, se è fatto con il cuore e con la testa, è l'arte”
Van Cuv

Nel mese di gennaio presso il suo spazio sarà possibile assistere a una nuova personale con opere inedite.

Per vedere immagini di altri suoi lavori o per sapere qualcosa in più su di lui: www.vancuvart.com
vancuv1@gmail.com

domenica 5 gennaio 2014

L'autore di un'opera deve fornirne le chiavi di lettura?

"L'opera dovrebbe reggersi da sola - privo di spiegazione, una volta lasciato lo studio, il lavoro comincia nel bene o nel male una vita propria: l'intenzione del creatore non è più rilevante". Così scrive, verso la fine degli anni Sessanta, Louise Bougeois, scultrice, installatrice e scrittrice francese.
La semiotica insegna che il soggetto interpreta un testo dato in base ai codici a sua disposizione, non sempre – quasi mai – uguali a quelli impiegati dall'autore: il concetto di “lettore modello” è utopico.
Interpretare un testo secondo i propri codici non significa, a mio avviso, vedere in esso qualcosa che possiede in nuce, bensì leggerlo/filtrarlo attraverso personali schematismi preconcetti; da qui, il bagaglio negativo che portano con sé etichette, stereotipi, luoghi comuni...
Questo modo di vivere/interpretare il testo, sia esso opera letteraria, visiva, musicale, un avvenimento o un individuo altro dal lettore, non porta a una riscoperta del significato dell'opera, a un suo arricchimento, perché tutto ciò che un terzo può aggiungere all'opera altrui non può che essere GIÀ VISTO in quanto figlio di luoghi comuni e idee preesistenti. Altresì, l'opera non deve arricchire se stessa ma il fruitore – osservatore/lettore – e per fare ciò deve ABBATTERE le resistenze stereotipe di questo, il suo presapere, fornendogli una nuova visione del mondo, permettendogli di vedere e pensare con occhi e mente altrui. Perché ciò avvenga, il lettore deve porsi vergine e nudo di fronte all'opera e, come un bambino, deve accogliere i consigli di lettura, i suggerimenti, deve seguire il percorso indicato dall'autore, entrare in lui, compenetrarlo, fruendo così al massimo grado dell'opera, in assenza di giudizi e idee prefabbricati.
L'autore ha dunque l'OBBLIGO MORALE di DIRE l'opera, spiegare sensi e significati, sostenerne la retta/corretta interpretazione, giacché solo in questo modo il fruitore uscirà arricchito dall'esperienza con l'ALTRO (la mente dell'autore sotto forma di testo). Fruire l'opera nel modo corretto è il primo passo verso l'arricchimento personale.
Laddove il tessto è un'opera artistica, l'interpretazione del lettore conduce al concetto di TERAPIA, utile per la crescita personale dell'autore; è invece la chiave interpretativa fornita dall'autore che porta al concetto di ARTE, utile per la crescita personale del lettore.
La nostra realtà storica ci ha insegnato a porre in questione i fatti dell'esistere privi di spiegazione primaria: filosofia e scienza studiano/analizzano/indagano i fenomeni e ne traggono conclusioni. Filosofi e scienziati sono dunque, di fronte ai fatti del mondo, lettori davanti a un testo. In realtà, ognuno di noi è, davanti agli eventi, lettore: non servono titoli accademici o capacità oratorie per sviluppare idee più o meno personali di fronte a eventi e misteri della vita. In questo caso, l'autore è però assente, non vi è dunque altra strada per giungere alla scoperta della verità se non quella di teorizzare idee partendo dalla propria formazione, dal proprio pensiero, dalla proprio modo di vedere/costruire la realtà. Se chi ha creato noi e il mondo – postulando di essere stati creati da qualcuno – comparisse e ci fornisse spiegazioni e dati certi riguardo ai perché dell'esistenza, noi – lettori – potremmo mettere in discussione la verità fornitaci dall'autore? Potremmo rifiutare di ascoltarla, barricandoci dietro le nostre idee precostruite? Non usciremmo impoveriti dal non voler ascoltare la verità dell'autore, probabilmente tanto lontana dalle infinite congetture fino a oggi ipotizzate?