È il corpo il principale strumento di
espressione artistica di Regina José Galindo, artista guatemalteca
nata nel 1974 a Guatemala City; è attraverso il proprio corpo che
racconta la violenza, la sofferenza, il dolore, gli abusi di potere
che affliggono la società contemporanea, in primis il suo Paese, che
è stato afflitto per 36 anni da una sanguinosa guerra sfociata in
genocidio. A questo tema, alle vittime della guerra, è dedicata
l'opera che apre la mostra presentata al PAC di Milano: un video
della durata di circa un'ora che documenta una performance (“La
Verdad”, 2013) nel corso della quale l'artista legge alcune forti
testimonianze di sopravvissuti al conflitto armato mentre un dentista
le pratica alcune punture anestetizzanti alla bocca per farla tacere.
La politica, le donne, la violenza,
l'organico e la morte: questi i temi, cari all'artista, entro i quali
si sviluppa il percorso della mostra presentata al PAC. Video e
fotografie documentarie delle performance sono affiancate da alcuni
oggetti utilizzati nel corso delle stesse: i ceppi e le catene di
“Peso” (2006), performance che vedeva l'artista svolgere per
quattro giorni le sue normali attività legata con tali arnesi che ne
limitavano la libertà, a sottolineare il potere di abuso e
sottomissione del potere sull'individuo; le otturazioni in oro della
performance “Saqueo/Looting” (2007), durante la quale l'artista
si era fatta perforare otto molari da un dentista del Guatemala,
facendoseli incastonare con oro nazionale e, successivamente, si era
fatta estrarre le otturazioni da un dentista di Berlino.
“Da una parte la conquista, la
guerra, la politica della terra bruciata, lo sfruttamento del suolo,
l'umiliazione. Dall'altra chi conquista, chi impartisce gli ordini,
l'uomo del vecchio mondo, quello che alza la mano e si tiene l'oro”.
È possibile vedere
la cassa di ferro di “Negociación
en turno” (2013), performance nel corso della quale l'artista
rimaneva chiusa nella cassa, mentre una lunga fila di persone la
sorreggeva a turno:
“A
turno sorreggono l'idea della morte. Aspettano in silenzio e quando
tocca a loro la sorreggono in maniera responsabile, sapendo che se
piegano le ginocchia per gli altri sarà più difficile sorreggerla.
Se lo si sorregge in più persone, il carico risulta più leggero.
Anche l'idea della morte, vissuta tra più persone, risulta più
leggera”.
Ritorna,
come già in altre importanti artiste del corpo – penso a Rythm 0
di Marina Abramovic o a Cut Pieces di Yoko Ono -, il tema
dell'individuo in balia dell'altro, del corpo lasciato alla mercé
del pubblico che, nel bene e nel male, potrà agire su di esso.
Così
in “Móvil”
(2010) l'artista, chiusa in un carrello per il trasporto dei
cadaveri, viene spostata, girata e lanciata da ogni parte dal
pubblico, mentre in “Alud” (2011) il suo corpo ricoperto di fango
viene ripulito con cura dalle persone presenti alla performance.
Intense,
forti, in taluni casi strazianti, le opere di Regina José Galindo
mettono in scena senza filtri tutta la violenza e la sofferenza che
inquina le società contemporanee, spingendo il proprio corpo oltre i
propri limiti, costringendo lo spettatore a vede, a comprendere, a
non dimenticare.
"Limbo", 2010
Per vedere altre opere e leggere la biografia dell'artista: www.reginajosegalindo.com
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